L’uomo non serve alle foreste, ma le foreste servono all’uomo

Post date: Sep 6, 2017 6:22:24 PM

Le foreste occupano un terzo del territorio italiano, cioè circa 11 milioni di ettari (www.sian.it/inventarioforestale). Contrariamente a quanto si pensa, in Italia la superficie forestale è da tempo in costante crescita, e negli ultimi 10 anni è aumentata in media di 57.000 ettari all'anno. Questo non tanto grazie ai rimboschimenti, pressoché assenti, ma all'espansione naturale delle foreste sui terreni abbandonati dall'agricoltura e dal pascolo in seguito allo spopolamento delle zone rurali e montane. I boschi sono in espansione su tutto il territorio italiano sulle superfici un tempo coltivate (Gressan, Aosta)I boschi non sono solo importanti in sé, ma offrono all'uomo "servizi" fondamentali: il legno come materiale rinnovabile (di cui l'uomo ha comunque bisogno) e fonte di energia più "pulita" del petrolio; la protezione di strade e città dal pericolo di caduta massi, valanghe e colate di detriti; l'assorbimento dei gas serra emessi dall'uomo (soprattutto se le foreste sono "giovani" come quelle italiane); l'abbattimento dell'inquinamento chimico, acustico e termico nelle città; un luogo dove rigenerare corpo e mente, con effetti ormai comprovati da diverse ricerche in campo neurologico.Questi benefici sono offerti gratis da boschi che soddisfino solo poche caratteristiche minime, ma avrebbero un costo molto elevato se dovessero essere prodotti in altri modi. Infatti, mentre il valore economico del settore legno in Italia è di soli 400 milioni di € (ISTAT 2010), o lo 0.02% del PIL, il valore dei servizi ambientali delle foreste (che nessuno paga, ma di cui tutti beneficiamo) è stimato in oltre 5 miliardi di €.

Foreste in aumento, gestione in declino

Il fallimento del mercato nel rendere esplicito e sostenere il valore dei servizi ambientali è noto. Ma stupisce come in Italia le politiche forestali siano trascurate da almeno 15 anni. Esistono, certamente, ostacoli logistici e burocratici: due terzi delle foreste italiane sono in mano a piccoli proprietari privati che spesso ignorano di possederle, rendendo difficile una gestione coordinata su ampia scala; le foreste pubbliche sono in massima parte di proprietà dei Comuni, che raramente dispongono delle risorse e delle competenze necessarie a garantire una gestione pianificata e sostenibile; inoltre dal 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, le competenze forestali sono in capo alle Regioni, cosa che ha generato un mosaico di leggi forestali regionali e politiche di investimento eterogenee e troppo soggette ai compromessi politici locali.

Tuttavia, è un fatto che in Italia solo il 30% del legno che cresce ogni anno (e che quindi è interamente utilizzabile senza intaccare il "capitale" forestale esistente) viene utilizzato come risorsa. Ma di legno c'è bisogno, quindi l'Italia (con i suoi mobilifici di eccellenza) è diventata il primo importatore di legname grezzo d'Europa. In questo modo si è persa l'opportunità di generare posti di lavoro, ed è alto il rischio di danneggiare foreste di grande valore ambientale (e le comunità che ci vivono intorno) nei paesi in via di sviluppo, da cui è più economico importare il legno (spesso estratto illegalmente) piuttosto che estrarlo in Italia.

Il problema non è solo di tipo produttivo: senza gestione, una foresta continua certamente a esistere, ma potrebbe non svolgere le sue funzioni nel modo migliore per l'uomo. Ad esempio, nei boschi un tempo utilizzati per l'approvvigionamento di legna da ardere, e oggi abbandonati, il suolo e i versanti sono in genere più instabili che in un bosco regolarmente gestito.

È sempre possibile gestire il bosco in modo sostenibile: il taglio degli alberi non è una catastrofe ambientale, soprattutto nei boschi Europei che sono da secoli influenzati dalla mano dell’uomo. Ogni anno in Italia da 100 a 300 studenti conseguono la laurea magistrale in Scienze Forestali e Ambientali (fonte: Almalaurea). Questi professionisti forestali conoscono le tecniche per gestire il bosco in modo da utilizzare la risorsa legno, conservando al tempo stesso il bosco e le sue funzioni ambientali.

Quello che manca sono gli investimenti: per gestire i boschi occorre anzitutto raggiungerli, ad esempio tramite piste temporanee o teleferiche. E l'Italia è uno dei paesi Europei con la più scadente accessibilità forestale, il più basso grado di penetrazione della tecnologia nel settore delle utilizzazioni forestali e la più bassa porzione di foreste soggette a pianificazione sostenibile. I fondi destinati a questo scopo provengono in massima parte da contributi Europei anziché nazionali, e non hanno una continuità che garantisca lo sviluppo strutturale del settore e dei relativi posti di lavoro.

Il fuoco, questo sconosciuto

Nelle foreste mediterranee il fuoco non è un estraneo. La vegetazione di gran parte d'Italia e il clima dominato da estati calde e secche fanno sì che, una volta acceso, il fuoco possa propagarsi rapidamente, soprattutto nel Sud Italia. Questo non è necessariamente un male: alcune specie vegetali sono addirittura dipendenti dal fuoco per la loro presenza. Inoltre, anche qualora tutti gli incendi venissero spenti con la massima efficacia, questo finirebbe per far accumulare nel tempo la vegetazione potenzialmente combustibile, producendo rari ma devastanti incendi estremi (è il "paradosso del fuoco", salito alla ribalta dopo i grandi incendi del 1988 nel Parco Nazionale di Yellowstone).

In realtà esistono due tipi di incendio: in quello "radente" le fiamme rimangono a livello del suolo, con effetti neutri o talvolta positivi sulla permanenza del bosco. Solo se esiste una "scala di combustibili" fatta da arbusti alti e alberi con rami bassi, le fiamme "radenti" possono salire, generando un incendio "di chioma" molto più intenso, pericoloso e difficile da estinguere. Oltre una certa soglia di intensità e altezza delle fiamme, invece, anche i Canadair diventano inutili, per non parlare del pericolo a cui sono esposte le squadre di terra, sempre presenti e spesso composte in gran parte da volontari.

In ogni caso, anche dopo un incendio "di chioma" la vegetazione è in grado di riprendersi dopo qualche anno. Le superfici "percorse" da fuoco non sono quindi irrimediabilmente distrutte (come invece nel caso della cementificazione e dell'inarrestabile consumo di suolo di cui l'Italia soffre). Il problema è piuttosto generato dal fatto che, fino alla ripresa della vegetazione, il bosco non può più fornire legname, assorbire carbonio, o proteggere dalle colate di detriti, che sono il pericolo principale quando nelle aree bruciate arrivano le prime piogge.

La balla dei piromani

Due sono le condizioni fondamentali perché si produca un incendio: una causa di innesco e una vegetazione che permetta il propagarsi delle fiamme. In un bosco in cui la vegetazione non è continua, con alberi distanti tra loro e chiome distanti dal suolo, oppure se la vegetazione è umida per una recente pioggia, o ancora se a terra mancano foglie secche e rami fini che possano prendere facilmente fuoco (come la carta in un caminetto), l'incendio, anche se appiccato, si propagherà poco e sarà più facile da spegnere.

Si capisce allora come l'attenzione posta dai media ai cosiddetti "piromani" sia sproporzionata e distragga dal problema reale. La piromania è una malattia mentale riscontrata in rarissimi casi; oltre la metà degli incendi in Italia è causata da negligenza, e solo 4 su 10 ha un accertato movente doloso (http://bit.ly/2vf1D1F). Inoltre, la legge 353 del 2000 impone il divieto di cambio di uso del suolo e di edificazione per 15 anni nelle aree percorse da incendio, di cui ogni catasto comunale deve mantenere una cartografia; la speculazione edilizia è perciò oggi molto poco plausibile come movente di incendio doloso. Intervistato a Zapping il 18 luglio scorso, il dottore forestale Luca Tonarelli del gruppo SISEF “Gestione Incendi Boschivi” ha spiegato come siano infondate, almeno finché non vengano effettuati gli accertamenti giudiziari, le ipotesi di disegni mafiosi o eversivi prontamente formulate da media e politici in cerca di comodi quanto inafferrabili capri espiatori.

Gli incendi si spengono venti anni prima

Le cause profonde delle estati come quella in corso sono due: i cambiamenti climatici e l'assenza di investimenti nella gestione forestale. Anzitutto, gli incendi sono legati a filo doppio alla siccità, che rende infiammabile la vegetazione e fa sì che un incendio, una volta innescato, si propaghi. Giugno 2017 è stato il secondo mese più caldo nella storia delle misurazioni climatiche, preceduto solo da giugno 2003. Allora come oggi, ondate di calore di rara intensità hanno colpito l'Europa meridionale. La frequenza con cui questo avviene è in deciso aumento rispetto alla storia recente del clima; è stato ampiamente previsto che il riscaldamento globale, causato in massima parte dalle emissioni di gas serra dell'era industriale, determinerà un aumento di intensità, frequenza, e durata delle siccità e delle ondate di calore in questa parte del mondo.

Contrastare i cambiamenti climatici è possibile e doveroso, ma richiede tempo. Se anche le emissioni di CO2 cessassero completamente, nel 2100 l’atmosfera sarebbe comunque più calda di 1.5°, a causa della quantità di gas serra già emessa e del fatto che la fisica del clima terrestre è reversibile solo in parte.

Una soluzione più immediata, economica, e a portata di mano è quella di rendere la vegetazione meno capace di diffondere un incendio. Si tratta delle tecniche di "selvicoltura preventiva": diradare gli alberi, eliminare gli arbusti, i rami bassi e i rametti fini al suolo per diminuire la continuità dei combustibili, aprire fasce libere da vegetazione per interrompere il passaggio di un eventuale fronte di fiamma (i "viali tagliafuoco").

Non è possibile sottoporre a questo trattamento la totalità dei boschi italiani, e non è realistico pensare che le piccole comunità che ancora abitano le zone rurali e montane "puliscano" il bosco con la stessa intensità e capillarità di cinquanta o cento anni fa, quando ogni pezzo di legno aveva un grande valore economico. Tuttavia si possono individuare le aree dove un intervento di questo genere è più efficace, in quella che è a tutti gli effetti diventa una pianificazione strategica.

Il problema principale come nel caso di altri rischi naturali (terremoti, alluvioni), si dovrebbe porre in questi termini: chi fa la prevenzione, e con quali risorse economiche. Le Regioni hanno l'obbligo di dotarsi di un Piano Antincendi Boschivi ogni tre anni, ma gli interventi prescritti dai piani restano disattesi se non vengono investiti fondi per realizzarli. E i tagli alla spesa pubblica, inclusa quella che sa produrre soluzioni innovative nel settore della gestione delle foreste e degli incendi, hanno allontanato le condizioni adatte alla soluzione strutturale dei problemi.

Le soluzioni

Sviluppare una strategia forestale organica in Italia può produrre simultaneamente molti benefici: l'aumento della reddività dei boschi italiani per l'approvvigionamento di legno e energia; la creazione di posti di lavoro nella filiera legno e nel settore strategico ambientale; l’aumento della qualità dei servizi ambientali prestati dai boschi all'uomo, come la protezione dai pericoli idrogeologici e la mitigazione dei cambiamenti climatici; la diffusione del presidio del territorio e della gestione preventiva degli incendi; la diminuzione della spesa pubblica sanitaria e di quella impiegata nella risposta emergenziale ai rischi naturali.

Alcuni passi per conseguire questo risultato possono essere:

l'attivazione della Direzione Generale Foreste presso il MiPAAF come ente di coordinamento e controllo delle competenze forestali locali;

l'aumento degli investimenti in pianificazione forestale, viabilità forestale, e il sostegno alla formazione del personale e alla meccanizzazione delle imprese di utilizzazione boschiva;

l'incentivo, economico e legale, alla consorzialità dei proprietari boschivi, sia privati che pubblici, per superare gli ostacoli legati alla frammentazione del territorio e alla carenza di competenze, per moltiplicare gli esempi virtuosi di Consorzi Forestali che gestiscono con efficienza e efficacia larghi tratti di boschi pubblici e privati;

l'avvio di meccanismi di compensazione del mercato per valorizzare i servizi ecosistemici non produttivi generati dalle foreste e compensare i proprietari che si rendano responsabili di una gestione capace di incrementarne la fornitura (es. sistemi di crediti volontari di carbonio, o pagamenti per la protezione del suolo, della biodiverità o della qualità dell'acqua nelle aree boscate);

Occorre il coraggio e la coerenza di impostare un'azione politica in cui il territorio sia al centro, a partire dai fatti anziché dai luoghi comuni e dalle facili accuse in tempo di emergenza.